Dall’infanzia all’età adulta:Il potere di Halloween
di Maxim Donati
Da quando ne ho ricordo, Halloween è la mia festività preferita, e come tutte le ricorrenze che si rispettino, risiede in un determinato periodo dell’anno.
Voi direte: “ma non si tratta solo di una serata?”
Le opinioni della società moderna a riguardo sono davvero differenti, ma fin dalla mia piccola psiche di bimbo era un periodo magico, che iniziava alle prime foglie fulve.
Non mi sarei mai voluto accontentare di una sola serata.
Non sapevo perché, ma nel periodo di ottobre nonostante la malinconia delle scuole appena iniziate, la scintilla brillava nei miei occhi ogni volta che intravedevo qualcosa di arancione…o di vagamente grottesco; La mia mente mi trasportava direttamente in quel mondo bizzarro.
Purtroppo però “ai tempi di quando ero piccolo io” Halloween era vista solo come una festa Americana, che mancava di rispetto alla morte, proprio per questo motivo il massimo concessomi era una zucca di plastica il 31 ottobre che ahimè, già il 1 novembre, si dileguava nelle nebbie dalle quali era venuta (non che oggi la situazione sia molto diversa).
Ho avuto un’infanzia alquanto infelice (e la mia adolescenza non è stata tutto questo granché, detta sinceramente), ma l’unica celebrazione oscura “famosa” del panorama europeo dei primi anni ‘00, sapeva darmi gioia quando ero triste, e conforto quando mancava l’affetto che avrei desiderato.
Tuttavia da bambino l’autunno generava in me un disprezzo passivo aggressivo. Vi chiederete come questo sia possibile.
Dopo una prima impressione che potrebbe far pensare al fatto che il genere umano sia fatto d’incoerenza (cosa vera per altro), la risposta mi è arrivata da adulto.
Delegavo ad una festività in apparenza inventata semplicemente dal nulla, le mie paure e insicurezze con l’aspettativa di essere rincuorato, quando invece tutt’attorno a me c’era molto più da riscoprire, radici più profonde che nessuno aveva mai dovuto inventare, solo cogliere, ispirate dai cicli stessi della natura e dell’uomo.
Ci siamo sempre e solo ispirati ad essa dall’alba dei tempi, peccato che ce ne siamo dimenticati per strada. Siamo convinti di aver inventato il mondo stesso, quando la nostra era un’ispirazione verso la natura, che è diventato un copiarla in modo dissociato.
Tutto ciò per dire, anche se può risultare banale, che Halloween è sinonimo di autunno e viceversa. Oggigiorno personalmente non li scindo più.
Da adulto ho capito (e studiato) che per i popoli antichi questo periodo rispecchiava niente di più e niente di meno che il volto della stagione in corso, il passaggio dalla parte luminosa a quella oscura dell’anno: le paure legate alle nebbie dell’ignoto, che racchiudevano il terrore di non arrivare al tepore della primavera successiva ma lasciarci le penne con il freddo imminente, però con un senso di gratitudine per l’abbondanza agricola e l’istinto che diceva loro che era necessario questo letargo per un risveglio l’anno successivo.
Noi italiani tendiamo a tralasciare il fatto che le Americhe sono fondate sulle culture dell’Europa. Sento già un brusio che dice “ma comunque la zucca è americana e anche se sono secoli che è stata importata in Europa, tutto ciò è una celebrazione Irlandese e dintorni”!
Ricordiamoci però che i popoli di quelle regioni sono arrivati anche nella nostra penisola, e hanno fuso loro tradizioni con le nostre molti secoli prima dell’Halloween odierno. Anzi, proprio da questo passaggio nasce il nostro Halloween!
Mi viene alla mente una delle frasi che era diventata una mia citazione perpetua:
“Ma perché se i pomodori e le zucche sono entrambi americani, le persone italiane odiano così tanto le zucche?”
Al pensiero tutt’oggi sorrido, perché nella mia ingenuità ci avevo visto molto più lungo di ciò che potevo immaginare.
Con tutto il rispetto per il signor pomodoro, ma la signora zucca e prima di lei signorina rapa, hanno una simbologia molto più scomoda rispetto al primo ortaggio che ho citato, che ha mantenuto una connotazione prettamente culinaria.
A tal proposito riporto di seguito un paragrafo dedicato alla zucca nel libro “Halloween” di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi:
“…In passato essa raffigurava il morto presente nella dimensione terrena, caricandosi però in questo periodo dell’anno, in virtù dei simbolismi insiti nella zucca stessa, dei valori mitico-rituali riferibili all’eterna dinamica di morte-rinascita e di quelli relativi alla fertilità e fecondità (Priapo, divinità greca delle forze generative maschili e della fecondità della natura, era appellato anche -custode delle zucche-). Nelle loro varie forme le zucche possono raffigurare sia il fallo maschile che un grembo femminile gravido, e quelle rotonde, per forma e colore, il sole e la luna, gli astri che nei loro cicli perpetui di comparsa e scomparsa, morte e rinascita, segnano il tempo della vita e ne rappresentano una promessa di continuità.”
Detto questo, come mai al nostro popolo, dato che sia la zucca quanto le celebrazioni di Halloween hanno anche connotazioni positive, sta tutto così stretto?
Da piccino non capivo ma oggi sì.
Tutti gli altri periodi dell’anno celebrano la vita e la morte dalla prospettiva della vita, che va benissimo.
Ma la prospettiva della morte dove la mettiamo? Le paure? Le spigolosità dell’esistenza?
Sotto al tappeto, della cantina o della soffitta, così sono più distanti possibili da noi, sullo scaffale, la zucca e il pipistrello finto dentro ad uno scatolone umido già la mattina del 1 novembre.
Che per altro i santi onorati sono pur sempre celebrazione di defunti.
Poi segue il 2 di novembre che è il giorno in cui farsi vedere in cimitero è socialmente riconosciuto come momento da poter dedicare alla prospettiva della morte. Dopodiché, fino al 31 ottobre dell’anno successivo, torna un argomento tabù.
Ma che si dia rilievo a temi quali morte e defunti o meno, loro esisteranno lo stesso nelle nostre vite, tanto da bambini quanto da adulti.
La differenza tra relegare la cosa ad una serata e due giornate, ed integrarla ad un periodo specifico come accade per tutte le altre feste che celebrano gioia e vita, sta nel fatto che censurare questa ferita sociale la farà squarciare sempre di più, accettarla e sdoganarla col tempo la farà ridimensionare.
In che senso ferita sociale?
La società prende decisioni unanimi per mettere un filtro tra cosa è giusto e cosa no. Nella maggior parte dei casi questo processo va a buon fine, altre volte purtroppo no.
La paura come anche la rabbia e altre emozioni, non sono sbagliate. Sono giuste?
Esistono e basta. Sono definibili necessarie, ese si sa in che direzione condurle, sono decisamente positive.
Se le si ammonisce e reprime, divengono distruttive.
Ed eccoci arrivati alla ferita emotivo – sociale.
Quanto scritto poco sopra non è tutta farina del mio sacco, ma ispirazione giunta a me attraverso una figura illustre.
Sto parlando di Laura Ghianda, educatrice professionale e libera ricercatrice che nel libro “Le vere origini di Halloween” scrive:
“…Il travestimento in generale, mezzo per “sperimentarsi in un’altra identità”, principesca o grottesca che sia, è un’attività che non dovrebbe mai mancare tra le occasioni ludiche dei bambini, almeno dai tre anni in su.
[…] Il bambino saprà sicuramente di quale creatura vorrà vestirne i panni. Si trasformerà così nelle sue stesse paure, entrando in quello che è per lui il mondo dell’ignoto e riuscirà a farsi beffa di questo sapendo di essere al sicuro.
[…] E c’è di più. Diventare strega, folletto, fantasma o mostro per gioco può anche essere un modo per dare forma a quelle emozioni o parti di noi che tendiamo a reprimere perché socialmente sconvenienti, come aggressività e voglia di trasgredire, e che finalmente trovano possibilità di espressione in modo innocuo e divertente. […] Il mondo delle paure, che trova espressione anche nella festa di Halloween, non va quindi censurato e non va fatto passare al bambino il messaggio che “di certe cose non si può parlare”. Questo atteggiamento è una proiezione di quel mondo adulto che ha già aderito a orientamenti morali o tendenze culturali che vedono nella morte e nell’ignoto un pericoloso tabù, magari da contrastare con l’affannosa rincorsa al mito del’”eterna giovinezza”. Ma non risponde affatto a un bisogno di sana crescita psicofisica del bambino.”
Per quanto riguarda la mia età adulta, vi devo dire che di sfizi che non ho potuto in passato, ora me ne sto togliendo.
Auto-psicanalizzandomi ho capito consciamente che decorare casa per Halloween per me è terapeutico, questa volta non più con una triste zucchetta. Ma come si deve.
Le decorazioni per me divengono un tramite per trasferire da me a loro le mie sofferenze, esorcizzando le mie ombre, affrontandole poi in modo consapevole e maturo una volta passato il loro tempo di incubazione.
Sempre Laura Ghianda nel libro “Le vere origini di Halloween” scrive:
“ Per quanti di noi adulti non hanno avuto la possibilità di scherzare con le proprie umane paure durante l’infanzia, forse potrebbe non essere troppo tardi approfittarne adesso. Assieme ai nostri figli (nipoti, cuginetti…). Dolcetto o scherzetto? ”
Crescendo ho capito che solitudine e violenza arrivano che tu le voglia o meno…Ma una volta che sono arrivate, che ci vogliamo fare con loro?
Ho provato per tutto il corso della mia vita a sviscerare le oscurità sociali vissute sulla mia pelle e non, per cercare di comprenderle.
Avevo (ed ho) bisogno di sapere, di dare un senso.
Per me Halloween è un potente mezzo per potermi mettere in contatto con il vero “me”, spingendomi ad indagare il mio lato ombra.
Che nel senso costruttivo del termine, s’intende utilizzare propri traumi e paure come punti di forza per divenire speciali e realizzati.
Vi starete chiedendo dunque quale mai sia questo potere di Halloween:
Da una parte guarire il cuore di quelle creature uniche, che il proprio lato ombra lo abbracciano 365 giorni, e per una notte l’anno vengono globalmente (in parte) comprese ed imitate. Dall’altra, aiutare altri ad affrontare certi temi e tabù, esplorare la propria sana ombra.