Il Solstizio d’Inverno

L’eterno movimento a spirale prosegue nella sua danza passo dopo passo, riconducendoci nel tempo del sogno e delle energie solstiziali d’inverno.

Questa festa considerata minore nell’odierna concezione della ruota dell’anno, è una data astronomica osservata in tutto il globo (e presso più culture e popolazioni) da tempo immemore: infatti, con molta probabilità, fu uno dei primi momenti di passaggio celebrati dall’uomo che, volgendo il proprio sguardo verso il cielo, osservò come il sole si snodava tra solstizi ed equinozi nella sua danza a spirale.

Durante il solstizio d’inverno il sole raggiunge, nel suo percorso apparente attorno alla terra (eclittica), la minima altezza rispetto all’orizzonte terrestre (creando di conseguenza la notte più lunga dell’anno).

La parola “solstizio” deriva dal latino “solstitium”, comp. di sol “sole” e stare “fermare, fermarsi”. Questo perché l’astro sembra quasi indugiare per tre giorni nello stesso punto, prima di riprendere il cammino inverso, riportandoci al solstizio estivo.

La data varia di anno in anno, solitamente cade intorno al 20/21 dicembre (nel 2023 sarà il 22 dicembre) e segna l’inizio dell’inverno astronomico. È bene ricordare come questa data, soprattutto nell’antichità ma anche per chi segue cammini spirituali legati alla natura, non segna davvero l’inizio dell’inverno, anzi: questo è il momento di passaggio tra la festa di Samhain (la Discesa), e Imbolc (la Rinascita). È la festa di mezzo inverno.

In tutto il mondo antico, con nomi e tradizioni diverse, in questo periodo dell’anno si celebrava la rinascita del sole. Essenziale per la sopravvivenza di tutti noi, e della natura stessa di cui facciamo parte, l’astro diurno era visto come un elemento divino, un Dio, anche se in tempi più antichi era più spesso visto come una Dea.

Dall’egiziana Bastet alla germanica Sòl (Sunna), passando per la celtica Grainnè e la giapponese Amaterasu, senza tralasciare Dee nostrane quali Merisana, Reitia o Dee considerate solo lunari come Iside e Hekate (per citare alcuni esempi), non bisogna dimenticare che prima dell’arrivo del patriarcato e del dualismo (che ha confinato alla donna/Dea solo il passivo, la luna, le emozioni e l’acqua per citare qualche esempio), erano numerose le Dee solari, così come gli Dei lunari, in un’ottica di unità sacra quale Dea è.

Durante questo passaggio del ciclo del sole, l’uomo antico si ritrovava immerso in un momento liminale e al tempo stesso paradossale: nell’apice dell’oscurità, ecco la rinascita della luce. Nel momento di più paura, ansia per il futuro, preoccupazione di non sopravvivere alle sfide dell’inverno, ecco accendersi la speranza di riuscire a superare tutto ciò, l’annuncio della vita che si rigenera nel grembo oscuro della Dea.

Un’oscurità che dunque, nonostante le paure e i timori, era accettata, compresa, ritenuta un elemento essenziale per il ciclo eterno a spirale: senza oscurità, non potrebbe esserci nuova vita. Una stagione di riposo e letargo necessario per recuperare forze ed energia, un momento importantissimo celebrato da tutti e in tutti i tempi e che, col passare dei secoli, ha generato simboli, credenze e tradizioni diverse in apparenza ma in realtà simili tra loro, che sono sopravvissute nel Natale odierno (festa nata proprio da tutti questi miti e ritualità, allo scopo di sostituirsi a esse).

Dai più il solstizio d’inverno è conosciuto col nome di Yule, che deriva dalla parola scandinava o anglosassone “Iul”, o addirittura dal norvegese “jul”, che significa “ruota” (a significare una data che segna un passaggio importante).

È bene sapere però che questo nome è stato scelto dal noto influente del panorama Wicca e neopagano Aidan A. Kelly che, osservandone l’utilizzo presso le popolazioni del nord dell’Europa, l’ha ufficializzato come “vero nome del solstizio d’inverno” (l’ha ammesso lui stesso in un’intervista, dichiarando che dire solo “solstizi ed equinozi” offendeva il suo gusto estetico).

Molti ritengono che questo sia il nome celtico della festività ma è bene ricordare che i celti non festeggiavano il solstizio, loro celebravano solo le quattro feste/passaggi legati al ciclo agricolo e pastorizio (Samhain, Imbolc, Beltane e Lughnasadh), come nominato anche nel calendario di Coligny che parla solo di quattro festività. Visto però l’antichità della festa (preceltica), hanno vissuto in modo minore questo passaggio, creando e tramandando diverse tradizioni e usanze che attingono al corpus della festa precedente e successiva.

Il fuoco è l’elemento che giocava (e gioca tuttora) un ruolo chiave nei riti e nelle celebrazioni di questo periodo, per il suo legame col sole e la luce, infatti, ancora oggi in tutta Europa (Italia compresa), troviamo tradizioni differenti in cui il fuoco è protagonista: il ceppo di Natale, l’usanza italiana di accendere roghi durante la notte della Befana (presente un po’ in tutto il nord dell’Italia, chiamati in Veneto col nome di “pan e vin”), la tradizione di decorare gli abeti con luci o candele, per non parlare di figure come Santa Lucia.

In questo periodo dell’anno, presso la Roma antica, si tenevano i festeggiamenti del Dio Saturno, i Saturnali, che si svolgevano in epoca imperiale dal 17 al 23 dicembre. Durante queste giornate era usanza allestire dei ricchi banchetti, divertirsi, avere buona compagnia, invitare anche gli schiavi a partecipare (perché non c’erano differenze sociali sotto il dominio di Saturno) e scambiarsi dei regali di buona fortuna chiamati strenne (dalla Dea Strenua, Signora del solstizio invernale; da qui ha origine la tradizione dei regali natalizi).

Il 25 dicembre invece era festeggiato Mitra, il Dio del Sole invincibile (Sol Invictus). La festività era il Dies Natalis Solis Invicti (giorno di nascita del Sole invitto) ma, quando l’imperatore Costantino si convertì al cristianesimo, si cominciò a festeggiare il Natalis Christi.

Nel nord dell’Europa, era diffuso un mito legato all’antico culto arboreo, quello del Re Agrifoglio e del Re Quercia, corrispettivi signori della parte oscura e luminosa dell’anno. Ad ogni solstizio si danno battaglia: in quello estivo vince il Re Agrifoglio, accompagnandoci nella parte oscura dell’anno, in quello invernale vince invece il Re Quercia.

Come accennato in precedenza, nel tentativo di rimuovere le credenze precristiane, la chiesa ha sovrapposto le sue convinzioni e visioni, la nuova religione, sulle fondamenta precedenti. Nonostante ciò, il solstizio d’inverno ha conservato tutte le sue valenze magiche. Sono infinite le tradizioni e i personaggi presenti ancora oggi che testimoniano tutto ciò (Babbo Natale, la Befana, Santa Lucia, i krampus, le tredici notti, l’albero, il presepe, ecc…) ma è giusto lasciare a voi il compito di ricercare e approfondire.

Testo di Morgana Marco Vettorel per il Tempio della Grande Dea Serpente, vietata la riproduzione (anche parziale) senza il consenso dell’autrice.

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