Equinozio d’Autunno
La ruota dell’anno continua a girare, ed è giunto il tempo dell’equinozio ovvero quando, durante l’anno solare, il giorno e la notte hanno uguale durata (ciò si ripete due volte in un anno, in primavera e autunno).
La parola “equinozio” infatti, deriva dal latino aequinoctium, derivato a sua volta dalla locuzione aequa nox, che significa “notte uguale al giorno”.
Con l’equinozio d’autunno (che quest’anno cade il 22 settembre 2024) si entra effettivamente nella parte buia dell’anno, il cui seme è stato piantato al solstizio d’estate con il massimo apice del sole e l’inizio del suo lento declino, poiché dopo l’equilibrio dell’equinozio sarà sempre più l’oscurità a prevalere sulla luce.
Questo passaggio naturale nel corso dei secoli ha dato vita a numerose mitologie e celebrazioni nel mondo antico ma, prima di procedere, ritengo necessario precisare che gli equinozi, come i solstizi, fanno parte del ciclo di celebrazioni pre-celtiche, osservate dai primi uomini cacciatori e raccoglitori, che seguivano un ciclo astronomico. Poi, col passare del tempo e la nascita di società dedite alla pastorizia e all’agricoltura, sono stati osservati altri momenti, basati sul ciclo agrario (semina, fioritura, maturazione e raccolto) e le fasi lunari. Queste due concezioni cicliche del tempo, fuse insieme sempre di più nel corso dei secoli, hanno originato l’odierna ruota dell’anno neopagana.
L’equinozio d’autunno è chiamato da numerosi neopagani di diverse tradizioni, come festa del dio Mabon ma, come vedremo in seguito, è un grave errore storico.
L’autore all’origine di questo sbaglio è il wiccan Aidan Kelly che, nel 1974, decise i nomi per le feste della ruota dell’anno che erano senza nome, ovvero solstizi ed equinozi. Nella sua decisione, oltre a basarsi sugli studi diffusi in quel periodo (che erano notevolmente scarsi rispetto a oggi), si è basato, come dichiarato da lui stesso anni dopo, sul suo gusto estetico, reinterpretando fonti e miti a suo piacimento. Nel caso dell’equinozio d’autunno, ha voluto paragonare e fare analogie tra il mito del dio Mabon e quello della dea Kore-Persefone.
Indicato spesso come Mabon ap Modron (il cui nome significa “figlio divino della madre divina”), Mabon (tradotto come “figlio divino” o “giovane uomo”) è un dio gallese, rappresentato come un cacciatore accompagnato da un agile cavallo e uno splendido cane da caccia. Secondo il mito, presente all’interno dei Mabinogion, il dio fu rapito alla madre a soli tre giorni dalla propria nascita e portato nell’aldilà, l’Annwn, dove visse come prigioniero per molti anni. A quel punto la Grande Madre gallese Modron, ovvero sua madre, disperata per la perdita del figlio partì alla sua ricerca ma ciò ebbe conseguenze spiacevoli per tutta l’umanità. Grazie all’intervento dell’eroe Culhwch e di suo cugino Arthur (conosciuto dai più come Artù, protagonista della leggenda della spada nella roccia), Mabon fu liberato e riportato alla madre, e così tutta la natura torna alla vita.
Per quanto il mito sia simile a quello di Persefone, non lo è! Infatti, il mito che vede per protagonista Mabon, si svolge in primavera. Lui è un dio primaverile, della giovinezza e della crescita delle piante, non dell’autunno e del decadimento.
È interessante sapere che in diversi cerchi neo-druidici, l’equinozio d’autunno è chiamato col nome gaelico “Alban Elued”, che si può tradurre come “luce dell’acqua”. Questo perché l’acqua rappresenta da sempre il ventre della Dea, luogo di vita, morte e rinascita continua, il brodo primordiale in cui il sole discende negli abissi dell’oceano durante la parte oscura dell’anno. Questa visione è rafforzata non solo dalla visione che gli uomini antichi avevano della terra, ovvero galleggiante nell’acqua, ma anche dai vari significati dell’elemento, che lo vedono connesso alla spiritualità, l’inconscio e il mistero.
Tornando al mito di Mabon, e alla sua similitudine con quello greco di Kore-Persefone e di sua madre, Demetra, quest’ultimo spiegava in maniera romanzata l’alternarsi delle stagioni nel ciclo eterno di morte e rinascita. La loro storia si snoda in due fasi, il rapimento dalla madre e il ricongiungimento con essa: il primo durante l’equinozio d’autunno e il secondo durante quello di primavera.
Secondo la storia a noi giunta (dunque una versione più recente del mito, di stampo olimpico-patriarcale, ma che si rifà a una forma di divino molto differente legata all’antica Europa, dove la Dea era già una Dea doppia che incarnava in sé entrambe gli aspetti, sia Kore che Demetra), Kore un giorno (che significa fanciulla) era in compagnia delle Oceanine, intenta a raccogliere papaveri da un campo di grano quando, a un certo punto, da una voragine aperta li vicino, uscì il dio Ade al comando di un maestoso carro. Il dio degli inferi, fratello di Zeus e Poseidone, rapì Kore e la trascinò negli inferi. Ciò fu possibile grazie al volere di Zeus stesso, che aveva dato il suo consenso all’impresa del fratello. Demetra, accortasi della scomparsa della figlia, per nove giorni corse per tutto il mondo alla sua ricerca ma senza riuscita o notizia. All’alba del decimo giorno venne in suo soccorso la dea Hekate, che aveva udito le urla di Kore durante il rapimento, ma non aveva visto il suo rapitore. Così le consigliò di rivolgersi al dio Elios, che rivelò l’autore del ratto. Su tutte le furie, Demetra abbandonò l’Olimpo e decise che la terra non avrebbe più dato frutti, portando all’estinzione della razza umana, così da togliere i sacrifici votivi alle divinità. Continuò il suo viaggio, mentre la carestia avanzava, così alla fine Zeus fu costretto a cedere, inviando Ermes negli inferi per ordinare il rilascio di Kore. Per impedire che la giovane tornasse alla madre, Ade le fece mangiare con l’inganno dei chicchi di melograno (frutto dei morti), impedendole così di tornare sulla terra e trasformandola in Persefone (colei che porta luce o abbondanza), conosciuta nel mondo romano come Proserpina (colei che serpeggia, emerge), sua sposa e dunque signora dell’oltretomba. A questo punto, tramite un accordo con tutti gli dei coinvolti, si decretò che Persefone avrebbe passato sei mesi con la madre, che colma di gioia nel rivedere la figlia riporta la vita in tutta la natura, e sei mesi con il suo sposo, Ade, negli inferi.
Su questo mito (e sul suo retaggio ancora più antico, legato a Demetra stessa) si sono sviluppati i rituali Eleusini, basati sull’agricoltura e il simbolismo del grano, divisi in “Grandi Misteri di Eleusi” (che si svolgevano nel mese di Boedromione del calendario attico di Atene, orientativamente l’odierno settembre) e in “Piccoli Misteri Eleusini” (che cadevano nel mese di Antesterione, in primavera).
Gli antichi consideravano questo periodo dedicato ai misteri e infatti, oltre a quelli Eleusini, troviamo ad esempio anche quelli dedicati al dio Mithra, signore e animatore del cosmo e allo stesso tempo mediatore tra le divinità e gli esseri umani, associato proprio al tempo dell’equinozio per via delle sue funzioni e rappresentazioni. Con l’arrivo del cristianesimo fu l’arcangelo Michele, legato alla luce e al fuoco, ad assorbire tutto ciò. La sua festa ricorre il 29 settembre e, il periodo dell’equinozio d’autunno, è chiamato nei paesi anglosassoni con il nome di Michaelmas.
Gli antichi romani non tenevano in grande considerazione solstizi ed equinozi, ad eccezione per esempio del solstizio invernale con i festeggiamenti del Sol Invictus, ma avevano altre feste similari svolte nel corso della stagione, incentrate sul tema del secondo raccolto.
Infatti se la stagione precedente, quella conosciuta nell’odierna ruota dell’anno col nome celtico di Lughnasadh, rappresenta il tempo del primo raccolto, in particolare dei cereali (e l’aspetto sacrificale), il tema stagionale dell’equinozio è il secondo raccolto, quello della frutta e dell’uva, della massima abbondanza.
Un’ulteriore testimonianza che questa non fosse una stagione di povertà ma di massima abbondanza, la troviamo custodita nella parola “autunno” stessa: deriva infatti dal latino augere, che significa aumentare, e anche la sua particella au-, che deriva dall’indoeuropeo, ha in sé un significato di abbondanza, infatti significa sazio/saziare.
Non a caso uno dei simboli della stagione è la cornucopia, ovvero un vaso a forma di corno, riempito di frutti e coronato d’erbe e di fiori. Come dimostrato da numerosi studi sulla Dea (tra cui le ricerche di Marija Gimbutas), le corna sono richiami all’utero. Proprio per questo motivo indicano potere, forza e abbondanza, portatrici di doni. Il nome stesso cornucopia deriva dal latino cornu (corno) e copia (abbondanza). Rappresenta la prosperità, la ricchezza e la fertilità, attributo iconografico delle divinità ritenute dispensatrici dei beni della terra. Le sue origini mitologiche si ritrovano nella mitologia greca, più precisamente nel mito della capra Amaltea, una divinità naturale che si prese cura di Zeus quando scappò dal padre Crono.
L’equinozio d’autunno era dunque un tempo in cui, ieri come oggi, si raccoglieva il più possibile e, oltre a ciò, si facevano bilanci. Lo strumento della bilancia è associato all’equinozio d’autunno, sia per questo motivo, sia perché in questo momento astronomico il sole entra nel segno della Bilancia, un simbolo di equilibrio assoluto e di armonia universale.
Ancora oggi, in questo periodo e un po’ ovunque, si svolgono feste del raccolto, con abbondanza di cibo e di bevande (per esempio le diverse feste dell’uva o della zucca). Ora che le messi e i frutti sono stati raccolti e immagazzinati, c’è un senso di grande sollievo, soprattutto in passato quando il raccolto costituiva la riserva di provviste da conservare per il sostentamento durante l’inverno. Si facevano ringraziamenti alle divinità della terra per il raccolto ottenuto, chiedendo anche abbondanza per i raccolti successivi.
Fonti:
–Wikipedia; -Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, 2014;
–Feste Pagane. Alla riscoperta della Ruota dell’Anno e della dimensione magica del tempo, di Robeto Fattore, Macro Edizioni, 2004;
–I Mabinogion, I. Abbiati e G. Soldati, Venexia, 2011;
–Il tempo dei celti. Miti e riti: una guida alla spiritualità celtica, di Alexei Kondratiev, Urra Edizioni;
–La strada per Eleusi. Alla scoperta del segreto dei Misteri, di R.Gordon Wason, Albert Hofmann, Carl A. P. Ruck, Piano B, 2022;
Testo di Morgana Marco Vettorel per il Tempio della Grande Dea Serpente, vietata la riproduzione (anche parziale) senza consenso dell’autore.