Jonh Barleycorn
Per approfondire il tema del Raccolto è utile leggere e riflettere sulla storia del ciclo annuale dell’orzo e del grano o meglio, la storia del suo spirito, John Barleycorn.
In Irlanda, Inghilterra e Scozia spesso si canta una ballata popolare, intitolata John Barleycorn must die, incentrata su questo personaggio popolare, che è poi lo spirito dell’orzo, che narra del ciclo annuale dell’orzo, della sua trasformazione in farina e poi in birra e Wisky, che è molto simile al ciclo annuale dello spirito del Grano.
Del testo della canzone esistono diverse versioni, raccolte in varie epoche, a partire dal 1600, da tradizioni orali precedenti, tra cui una versione più ampia curata dal poeta nazionale scozzese Robert Burns.
Di seguito si può leggere la traduzione del brano nella versione più comune:
“C’erano tre uomini che venivano da occidente, per tentare la fortuna e questi tre uomini fecero un solenne voto: John Barleycorn deve morire.
Loro avevano arato, avevano seminato, loro avevano dissodato e avevano gettato zolle di terra sulla sua testa e questi tre uomini fecero un solenne voto: John Barleycorn era morto.
Lo lasciarono giacere per un tempo molto lungo, fino a che scese la pioggia dal cielo e il piccolo sir John tirò fuori la sua testa e lasciò tutti di stucco.
Loro l’avevano lasciato steso fino al giorno di mezza estate e fino ad allora lui era sembrato pallido e smorto e al piccolo Sir John crebbe una lunga barba e così divenne un uomo.
Loro avevano assoldato uomini con falci veramente affilate per tagliargli via le gambe, l’avevano avvolto e legato tutto attorno, trattandolo nel modo più brutale.
Avevano assoldato uomini con i loro forconi affilati che avevano conficcato nel (suo) cuore e il carrettiere lo trattò peggio di così perché lo legò al carro e andarono con il carro tutto intorno al campo finché arrivarono al granaio e fecero un solenne giuramento sul povero John Barleycorn.
Assoldarono uomini con bastoni uncinati per strappargli via la pelle dalle ossa e il mugnaio lo trattò peggio di così perché lo pressò tra due pietre e il piccolo Sir John con la sua botte di noce e la sua acquavite nel bicchiere dimostrò che era l’uomo più forte dopo tutto.
Il cacciatore non può suonare il suo corno così forte per cacciare la volpe e lo stagnaio non può riparare un bricco o una pentola senza un piccolo (sorso) di grano d’orzo.”
John Barleycorn è la personificazione dello “spirito del grano”, che si trova in tutte le società agricole fin dalla preistoria, a volte in forma maschile a volte in forma femminile (la madre del grano). Lo spirito del grano è la spiegazione mitica del mistero contenuto nel continuo rinnovarsi della vita: dai semi del grano vecchio (che muore) nascerà l’anno successivo il nuovo raccolto. E la nascita del grano nuovo, e quindi del cibo, fonte principale e quasi unica di sostentamento e vita nella civiltà contadina, non era certo un fatto secondario, e giustificava attenzioni particolari, fino in alcuni casi a sacrifici propiziatori rituali o, più tardi, a rappresentazioni allegoriche degli antichi sacrifici.
Perché lo spirito del grano doveva morire? Era una metafora del ciclo della mietitura: il grano crescente doveva essere mietuto e quando finiva di crescere, era finito il raccolto. Il mietitore che mieteva l’ultimo covone simbolicamente uccideva il raccolto di quell’anno, e quindi uccideva lo spirito del grano perciò, in qualche modo, prendeva su di sé la sventura della fine della vita, della morte. Ma lo spirito sarebbe rinato l’anno dopo, bastava sincerarsi che morisse in modo certo per garantirne la rinascita, e dunque doveva essere inscenata un’uccisione simbolica e inappellabile (nella canzone è il “voto solenne”), con le forme e la brutalità del sacrificio. Le modalità simboliche dell’uccisione descritte nella canzone sono proprio quelle in uso nelle campagne inglesi del Devonshire e della Scozia fino ai primi decenni del ‘900.
Fonti:
–Wikipedia;
–Musica e memoria (sito web);
–Il tempo dei Celti di Alexei Kondratiev;
–Feste pagane di Roberto Fattore;
-La magia dei Celti di Laura Rangoni;
Testo a cura di Morgana Marco Vettorel per il Tempio della Grande Dea Serpente. Vietata la riproduzione, anche parziale, senza il consenso dell’autrice.