Il Solstizio d’Estate
Considerata una festa minore nell’odierna concezione della ruota dell’anno, il solstizio d’estate è una data astronomica che era osservata in tutto il globo, presso più culture e popolazioni.
È bene ricordare che equinozi e solstizi furono, con molta probabilità, i primi momenti di passaggio celebrati dall’uomo, a testimonianza di ciò abbiamo numerosi siti archeologi legati ai passaggi astronomici, come per esempio Stonehenge, Newgrange, la piramide Maya di Kukulkan (El Castillo) e molti altri ancora, presenti anche sul suolo italico.
La parola “solstizio” deriva dal latino “solstitium”, composta da sol “sole” e stare “fermare, fermarsi”. Il sole è alla sua massima potenza e per tre giorni sembra quasi indugiare nello stesso punto, prima di riprendere la sua discesa che lo porterà a toccare il suo minimo al solstizio invernale.
In astronomia questo è il momento in cui il sole raggiunge la sua massima declinazione rispetto all’equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso. Questa data varia di anno in anno, solitamente cade intorno al 20/21 giugno (nel 2024 sarà proprio il 20 giugno) e segna l’inizio dell’estate astronomica.
È bene porre l’accento su come questa data, soprattutto nell’antichità ma anche per chi segue cammini spirituali legati alla natura, non segna davvero l’inizio dell’estate, anzi: questo è il momento di passaggio tra la festa di Beltane, il tempo del piacere, e Lughnasadh, quello del raccolto. È la festa di mezza estate.
Nei paesi anglosassoni il solstizio è ancora chiamato “midsummer”, e non bisogna scordare come William Shakespeare, col suo “sogno di una notte di mezza estate”, ne ha tramandato e diffuso la memoria.
Anche se alcuni sostengono che il nome di questa festività, Litha, sia quello di un’antica dea sassone dei cereali simile a Demetra, in realtà deriva da uno scritto di Beda il Venerabile, nello specifico nel suo testo “De temporum ratione”, capitolo “De mensibus anglorum”, riguardante la denominazione dei mesi. Aidan A. Kelly, noto influente del panorama Wicca e neopagano, nel 1974 l’ha ufficializzato come “vero nome del solstizio estivo”, basandosi però su interpretazioni personali spacciate per verità storica; questo particolare è stato ammesso lui stesso in un’intervista, dichiarando che nominare queste ricorrenze solo come “solstizi ed equinozi” offendeva il suo gusto estetico.
Questa è una delle feste più importanti per il potere del sole, in cui è possibile ricevere il massimo della potenza solare. Gli antichi lo sapevano bene e, attraverso le loro costruzioni (accennate in precedenza) e celebrazioni, cercavano di assorbire parte della sua energia e del suo potere. Ci tengo a precisare un dettaglio: rispetto ad alcune visioni moderne del paganesimo e della Stregoneria, Dea è anche solare. Quest’astro non è appannaggio esclusivo di divinità maschili difatti basta vedere come in diversi pantheon di tutto il mondo vi siano dee solari (ad es. Amaterasu, Elettronia, Teia, Saulè, Ekhi, Marici, Shapash e Beiwe) e dei lunari (ad es. Tecciztecatl, Nanna, Wadd, Terah, Dundra, Tsukuyomi, Chandra e Anningan).
Il fuoco è l’elemento che giocava, e gioca tuttora, un ruolo chiave nei riti e nelle celebrazioni solstiziali per il suo legame col periodo e col sole stesso.
Era usanza accendere fuochi sulle colline, sulle piazze, vicino ai campi e, come a Beltane, danzare, fare festa e banchetti attorno al falò, oltre che saltare sulle braci ardenti.
Il fumo dei falò era utilizzato per purificare e proteggere il bestiame mentre le ceneri, una volta esaurito il fuoco, venivano raccolte e sparse sui campi per propiziare la fertilità (a livello chimico è un ottimo concime naturale, un fertilizzante vero e proprio composta da fosforo e potassio, due elementi fondamentali per le piante, anche se incompleto perché manca l’azoto).
In alcune zone, coerentemente con i primi raccolti di frumento e cereali, era usanza (come nel tempo successivo al solstizio, quello del raccolto e di Lughnasadh) bruciare un fantoccio, o gettare oggetti vecchi, per ardere un simbolo di sacrificio così da assicurare la nuova vita.
Questo è un antico rito di morte e rinascita, in cui il fantoccio rappresenta lo spirito della vegetazione, colui che deve essere sacrificato per il raccolto che darà nuovi semi. Nelle isole britanniche questo ciclo fu narrato nella storia di John Barleycorn.
In tutta Europa, Italia compresa, in base alla regione e alla zona, vi sono consuetudini differenti in cui il fuoco è protagonista. Nell’appennino ad esempio, troviamo la tradizione delle ruzzole, grandi ruote di legno accese e non di rado decorate vengono lanciate e lasciate correre lungo i pendii montani (tradizione presente anche nelle zone limitrofe al torrente Vajont, tra le province di Belluno e Pordenone). È questo un chiaro simbolismo in riferimento al sole che, al suo apice, declina.
Tutte queste tradizioni di fuoco avevano lo scopo comune non solo di dare sempre più forza all’astro solare, soprattutto ora che iniziava il suo declino, ma anche di esorcizzare malattie e negatività in un momento così liminale, di passaggio e dunque anche “caotico”. Non bisogna dimenticare, infatti, come testimoniato anche dalla cultura popolare, che questa è, insieme a Samhain-Halloween e Beltane, una delle tre notti degli spiriti.
Questa credenza affonda le sue radici proprio nel fatto che, essendo il solstizio un momento di passaggio così importante, i confini tra il nostro mondo e quello degli spiriti sia talmente sottile da propiziare divinazioni e non solo.
La divinazione più famosa è quella con l’uovo, simbolo esoterico antico, il due volte nato, simbolo di infinito e trasformazione, di morte e rinascita.
Quest’antico rito divinatorio, legato alle tradizioni del solstizio estivo, è eseguito in momenti diversi nelle regioni italiane. Se per molti è tradizione eseguirlo per San Giovanni (la notte tra il 23-24 Giugno), soprattutto nell’Italia settentrionale è associato a San Pietro ed eseguito la sera tra il 28 e il 29 giugno. Questo perché la credenza tramanda che San Pietro in origine fosse stato un pescatore e che, durante questa magica notte, vada a soffiare nei contenitori ripieni con l’acqua e l’uovo, facendo apparire la barca per dimostrare la sua vicinanza ai fedeli. Ci tengo a specificare che sono valide entrambe, ma che la versione della barca sarebbe più tipica di San Pietro e San Paolo, che non è altro che la versione cristiana del rito praticato al solstizio.
Il solstizio è anche il momento migliore per la raccolta delle erbe, sia perché benedette dalla rugiada, sia perché è questo il periodo in cui molte piante officinali hanno la maggior concentrazione di principi attivi e, specularmente, il loro potere è al massimo.
La pianta per eccellenza del solstizio d’estate è l’iperico. Il suo nome greco Hyperikon significa “proteggere” o “sconfiggere un’apparizione”.
Pianta capace di scacciare spiriti molesti, ha ottime proprietà curative; il suo uso principe è nella creazione dell’oleolite con specifiche proprietà antinfiammatorie, soprattutto in caso di bruciature cutanee. Il sole sembra specchiarsi in questi fiori gialli dall’aspetto di piccole stelle, tingono l’olio di un rosso acceso e leniscono la pelle bruciata dai raggi del sole, ma è molto pericoloso esporsi con la pelle precedentemente oleata. Questa pianta racchiude in sé gli aspetti benevoli e al contempo pericolosi del nostro astro.
Non solo il fuoco dunque, ma anche l’acqua è uno degli elementi principali nelle celebrazioni del solstizio, direttamente collegata alla luna e al segno del Cancro, che ha inizio proprio nei giorni del solstizio.
Come accennato in precedenza, la rugiada di questo periodo è carica di poteri benefici e, attorno a essa, si sono sviluppate diverse tradizioni, in tutta Europa, Italia compresa con differenze locali.
Ad esempio in alcune regioni italiane e nel nord dell’Europa, le persone si stendevano nudi e si rotolavano sui prati bagnati di rugiada, per assorbirne i poteri curativi, accrescere la propria bellezza o ottenere fertilità, anche il bagno in mare, in questa notte, si pensava avesse il potere di togliere malattie.
Era diffusa un po’ ovunque l’abitudine di raccogliere la rugiada stendendo un panno di tessuto naturale (ad esempio cotone) sull’erba la notte di San Giovanni, lasciarlo sul prato, e strizzarlo il mattino successivo prima dell’alba.
Alcuni usavano scavare una piccola buca nella quale inserivano un bicchiere o un piccolo recipiente. Ponevano su di esse un telo impermeabile con un buco al centro. La rugiada si depositava sul telo e scendeva all’interno del contenitore.
Altri ancora invece, per assorbire le sue proprietà curative, preparavano la guazza di San Giovanni: un contenitore colmo non solo di acqua, ma anche di fiori ed erbe fresche, lasciato sul balcone tutta la notte, per poi usarlo per farsi il bagno la mattina seguente.
Nonostante il solstizio estivo, sia stato cristianizzato come la festa di San Giovanni (24 giugno, data della sua nascita, 28 agosto della sua morte), come visto in precedenza ha conservato tutte le sue valenze magiche. Questa scelta è considerata uno dei tanti tentativi della chiesa di rimuovere le credenze pagane, sovrapponendoci sopra le convinzioni della nuova religione, infatti il periodo solstiziale era troppo importante all’interno della ritualità precristiana e, a differenza di altri culti, non fu facilmente sradicabile.
Troviamo la prova proprio nel sovrapporre il solstizio con il santo: San Giovanni veniva considerato il discepolo preferito del Cristo e nella cultura cristiana esistono due San Giovanni. Uno è san Giovanni il Battista la cui festa coincide con il Solstizio Estivo e, l’altro è San Giovanni Evangelista e la sua festa corrisponde con la ricorrenza del Solstizio invernale (27 dicembre). Entrambi reggono quindi una delle due Porte Solstiziali.
I due Giovanni incarnano la figura di Giano Bifronte, il Dio Romano con due teste, una frontale e una posta sulla nuca. Egli è il guardiano di entrambe le porte Solstiziali.
Nel mondo celtico, come guardiani delle porte solstiziali, troviamo le figure del Re Agrifoglio e del Re Quercia.
La quercia fiorisce intorno al solstizio estivo e segna il passaggio tra l’anno crescente e l’anno calante. Per di più, nell’antica lingua “celtica”, quercia è Druirr, e significa passaggio (associato anche all’ogham della trasformazione), da ciò derivano anche i termini inglesi druid (druido) e door (porta).
Come scrive Laura Rangoni:“Nelle zone di lingua anglosassone vi sono alcune antiche storie che narrano di come l’anno fosse governato da due antichi dei della vegetazione: la prima parte dal Re della Quercia e la seconda dal Re dell’Agrifoglio, perennemente in lotta tra loro. Il primo rappresenta l’anno crescente, quando cioè il giorno è più lungo della notte, il secondo l’anno calante, quando il buio è più lungo della luce. Mentre al Solstizio d’Inverno avviene la sconfitta del Re dell’Agrifoglio, che veniva bruciato nei falò, al Solstizio d’Estate è il Re della Quercia a perdere la sua battaglia. Ovviamente, girando la ruota dell’anno, le sorti si ribaltano e tutto torna in equilibrio. Tra i due re, immobile e mutevole, a racchiudere in sé la vita e la morte, vi è l’Antica Madre.”
Chiariamo un dettaglio: i celti non festeggiavano il solstizio, loro celebravano solo le quattro feste/passaggi legati al ciclo agricolo e pastorizio (Samhain, Imbolc, Beltane e Lughnasadh), come nominato anche nel calendario di Coligny che parla solo di quattro festività. Visto però l’antichità della festa (preceltica), è possibile che abbiano vissuto in modo minore anche questo passaggio, creando e tramandando diverse tradizioni e usanze che, infatti, come visto anche in precedenza, racchiudono pratiche della stagione precedente e successiva al solstizio.
Fonti:
–Il tempo dei celti. Miti e riti: una guida alla spiritualità celtica di Alexei Kondtratiev, Apogeo;
–Il vischio e la quercia. Spiritualità celtica nell’Europa druidica di Riccardo Taraglio, L’Etá dell’Acquario;
–Feste Pagane. Alla riscoperta della ruota dell’anno e della dimensione magica del tempo di Roberto Fattore, Macroedizioni;
–Magia Wicca. Storie, riti, cerimonie di Christopher Wallace, De Vecchi;
–La magia dei Celti di Laura Rangoni, Xenia;
–Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno di Alfredo Cattabiani, Mondadori;
–Calendario pagano di Monica Casalini, fonte web
-Wikipedia;
Testo di Morgana Marco Vettorel per il Tempio della Grande Dea Serpente. Vietata la riproduzione, anche parziale, senza consenso dell’autore.